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Ci sono momenti nella vita in cui sembra che il destino abbia ben chiari quali fili annodare in una trama apparentemente confusa.

Dopo anni di musica da camera italiana e tedesca, e soprattutto appena terminata la pausa forzata del Covid, nel 2021 Giacomo e io meditavamo di dedicarci allo studio di un ‘opera più corposa del nostro solito. La scelta era caduta su Winterreise di Franz Schubert: un progetto certamente ambizioso per un giovane duo e ancora inusuale per una cantante – il ciclo è stato a lungo appannaggio pressoché esclusivo delle voci maschili, nonostante fosse nel repertorio di grandi artiste quali Brigitte Fassbaender o Christa Ludwig –, e che avremmo quindi affrontato con i nostri tempi e per nostro piacere.

Neanche il tempo di realizzare in cosa stavamo per imbarcarci che, per felice coincidenza, ci contattava Claudio Faragona, allora Presidente della sezione emiliana di AICS-Associazione Italiana Cultura e Sport, per proporci l’incisione di un disco: un generoso atto di mecenatismo e di sostegno alla cultura, promosso dall’Associazione stessa. La serietà del progetto era fuori discussione e pretendeva un programma adeguato, dunque la scelta

cadde naturalmente su Winterreise: troppo ghiotta l’occasione, e un’ottima spinta per il nostro studio.

C’erano da fare a quel punto gli accertamenti anagrafici di rito: ceduto il primato italiano al duo di Maria e Franco Trabucchi nel 2004, dopo un divertentissimo controllo – esiste un sito che raccoglie tutte le incisioni di Winterreise, in tutte le combinazioni di voci e strumenti, e abbiamo perso diverse ore a compulsare nomi e copertine – potevamo affermare di essere l’unico altro duo italiano di voce femminile e pianoforte ad incidere il ciclo schubertiano, e probabilmente il più giovane al momento della pubblicazione.

Il nostro Viaggio d’Inverno poteva dunque cominciare, chiaramente in estate - quando se no -, con un incredulo scambio di telefonate con le voci attutite dalle mascherine; e in estate è finito, dopo tre anni e sul mare, con due sessioni di registrazione altrettanto incredule e tormentate dal caldo e dall’ansia di non farcela sotto lo sguardo divertito di Andrea Felli e Lorenzo Ricci di FarmHouse Studio di Rimini.

Tormentato è stato anche lo studio del ciclo: inutile e forse scontato dire quanto affrontare un colosso del genere sia stato particolarmente sfidante, complici in aggiunta alcuni sconvolgimenti importanti nella vita di entrambi. Ogni lied non solo ci obbligava a scavare nella partitura, confrontandoci con i grandi interpreti del passato e del presente, ma ci costringeva anche a mettere a nudo il nostro vissuto recente, spesso con esiti psicologicamente faticosi.

Ci siamo trovati spesso a guardarci attoniti, alla fine di un brano, non per gongolare della nostra bravura ma perché sopraffatti da ciò che avevamo appena eseguito. Può sembrare una reazione scontata, data la grandezza di ciò che stavamo studiando, ma in quasi un decennio di musica assieme raramente ci era capitato un viaggio simile. Ogni prova diventava quasi una seduta psicanalitica, rinnovando ad ogni esecuzione la consapevolezza di non poter arrivare mai a toccare il fondo dell’abisso.

Tale consapevolezza può risultare in un certo senso consolante: ogni visione, in fondo, “va bene lo stesso” - e questa è una citazione consolatoria che ci siamo detti tante, forse troppe volte in questo viaggio lungo anni. Un’idea di base tuttavia bisognava trovarla: non si può semplicemente eseguire nota per nota ciò che Schubert ha scritto, o peggio ancora copiare pedissequamente ciò che i grandi esecutori hanno deciso e inciso, senza interrogarsi sul perché di ogni scelta, consapevole o meno, che emergeva ad ogni nostro incontro, ascolto, esecuzione. Cosa ha significato, dunque, Winterreise?

A costo di ripetermi, per noi è stato un viaggio, anche se di fatto senza meta. La profondità della partitura di questo Everest ad ogni lettura ci dava nuovi spunti di riflessione e nuove sfaccettature da riportare in esecuzione; pertanto non c’era mai – e manca tuttora - un vero punto di arrivo, la possibilità di mettere la parola “fine” allo studio di ogni lied. Forse anche per questo la nostra prima esecuzione dell’integrale di Winterreise – in estate, ovviamente – è successiva di un anno alla registrazione che qui presentiamo.

E senza meta, forse, è anche il viaggio del Wanderer, un cammino fisico in una natura gelida e indifferente, quando non manifestamente ostile, e un percorso psicologico attraverso le difficili fasi di accettazione della perdita: accettazione che, in realtà, non

avviene mai. Il viaggiatore si aggrappa al dolore provocato dalla civiltà che l’ha respinto e che, come i cani che abbaiando aggressivi segnalano il suo passare, continua a respingerlo, trovando rifugio solo nella sofferenza dell’ultimo ricordo e di ogni passo che affonda faticosamente nella neve.

Nel momento in cui dovesse risolvere il suo trauma, rischierebbe egli stesso di scomparire: se il cuore dovesse riprendersi dal gelo in cui è costretto anche il ricordo dell’amata, ciò che lo sta tenendo in cammino – forse in vita –, svanirebbe. Un annullamento, dunque, della ragione di vita del Wanderer: rigirare il coltello nel proprio dolore per mantenersi vivo, continuare a rinnovare il ricordo doloroso, rende impossibile l’accettazione di ciò che lo ha portato a voltare le spalle alla civiltà.

La camminata difficoltosa in un inverno gelido ci ha ispirato la scelta, in alcuni casi, di tempi molto lenti e di una vocalità congelata. Pochi sono i momenti di pausa dalla disperazione che permettano digressioni ed effettistiche più “teatrali” agli esecutori: i ricordi della felicità passata, da fuggire come le soste nel cammino che rendono più evidente la stanchezza; più spesso la disillusa ironia sulle speranze e i sogni della società umana di cui, un tempo, faceva parte il viaggiatore ma di cui ora, tristemente, ride.

L’errare è senza meta e senza fretta: non c’è un punto di arrivo, e anzi la fine del viaggio - posto che l’errante sappia dove sta andando e non si sia, più o meno volutamente, perduto - è quasi da rifuggire; è molto più importante il dialogo con sé stesso, che prende il ritmo dei passi, cerca volutamente la solitudine da qualunque forma di vita e ha un unico momento di sprezzo del destino, subito prima di finire in un vaneggiamento quasi da assideramento.

La solitudine e il silenzio della natura amplificano l’incessante rimuginare del viandante, interrotto solo da due figure vitali, un corvo e un vecchio suonatore di ghironda, entrambi descritti dalla vox media “wunderliche”. Sono strani, straordinari in quanto sprazzi di vita in una natura altrimenti morta, portatori di suoni in un silenzio quasi totale, unici segni di veglia in un lungo viaggio iniziato con una buonanotte di congedo all’esistenza.

Una sorta di finale lungo ventiquattro lieder, che però non ha termine: il vecchio suonatore è personaggio medio come l’aggettivo che lo descrive, una figura liminare tra la vita e la morte - di cui è simbolo sin dal medioevo, come d’altronde il corvo che segue il viandante come un avvoltoio -, oppure un reietto ai margini della società, che continua a far girare la sua manovella nelle intemperie come l’incessante cammino del Wanderer.

I suoi canti, come i pensieri del viaggiatore, sono stati relegati fuori dalla civiltà, per cui è forse l’unico compagno possibile dell’errante; ma non è escluso che l’accompagnarsi al mendicante sia solo un altro modo di ripetere, in un loop infernale, ciò che si è cantato lungo tutta la composizione, come il cupo bordone della ghironda. Una speranza di poter continuare a vivere nonostante la strenua opposizione di società e natura, oppure l’eterna dannazione in un inferno gelido: non ci è dato saperlo, o forse ci è data la facoltà di scegliere.

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  • Compositore: Franz Schubert (1797-1828)

  • Esecutori: Giulia Taccagni, mezzosoprano · Giacomo Carnevali, pianoforte
     

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I brani musicali qui incisi sono accomunati dall’ispirarsi a versi di poeti nati in Romagna o attratti da questa terra fatata. Da una parte Pascoli e Moretti, dall’altra il quasi riminese Panzini e quel Carducci zelante visitatore delle campagne cesenati. La Romagna ospita le rispettive case della memoria, da quelle in San Mauro Pascoli e Cesenatico alla Casa Rossa di Bellaria e a Villa Silvia di Lizzano, affacciata sulla Cesena serriana. Ebbene, un saldo progetto ha unito queste quattro case, con l’obiettivo di una competizione musicale sotto l’egida dei quattro illustri letterati. È nato così il «Primo Concorso internazionale di composizione lirica da camera su testi di poeti e scrittori di Romagna», organizzato da n.o.t.a.Music, associazione culturale solerte e innovativa tra didattica e produzione. Una selezione di questo concorso costituisce la gran parte del programma del cd.

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  • Compositore: Roberto Berzero (1956), Claudio Ferrara (1990), Heinrich Unterhofer (1958), Giorgio Barozzi (1989), Angelo Palmisano (1988), Filippo – Maria Magi (1980), Ruggero Leoncavallo (1857-1919), Pietro Mascagni (1863-1945), Silvia Baroni Pasolini (1852-1920), Nicky Pipita (1987), Christian Paterniti (1990), Francesco Vitucci (1991)

  • Esecutori: Omar Montanari, baritono · Monica Boschetti, soprano · Andrea Jin Chen, baritono · Pia Zanca, pianoforte · Giacomo Carnevali, pianoforte

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